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Ulf Linde Dagens Nyheter (italiano) 1966

Ulf Linde

Sivert Lindblom faceva in precedenza forme morbidamente modellate in tre dimensioni; il movimento era piano, scorrevole, fluente che le sculture fossero astratte non impedivano di fare immediatamente pensare a Rodin.
Vi era un simile patetico erotismo.
A quel tempo egli non era solo in quel suo neo-rodinismo. Quasi si sarebbe potuto dire che egli era un virtuoso rappresentante di un genere che aveva già cominciato a presentarsi un po’ troppo ”curato”; la sua sensibilità si presentava degna di nota — ma le sue idee su ciò che comportava la scultura non sembravano per niente interessanti.
Si poteva dire in questo modo: colui chi modella si sente lavorare con una massa omogenea. Egli ha bagnato, spezzato e impastato la sua creta in modo da sentirla completamente – essa diventa trasparente per la coscienza, se ancora non lo è per lo sguardo.

Le precedenti sculture di Sivert Lindblom erano, anche per l’osservatore, molto trasparenti proprio in questo significato. Erano funzioni omogenee.
È su questo punto che i suoi lavori contengono una deviazione radicale. Lo chiarisce il fatto che molte sue opere tardive sono levigate; la materia che si trova dentro il pezzo di superficie levigato è sempre sconosciuta – il tornitore, per esempio, può venire sorpreso da bolle nella materia. (È come vedrà una scatola di conserve senza etichetta – ci si chiede che cosa contenga.) Sivert Lindblom ha voluto insistere e accentuare che l’unica cosa che si vede di una scultura è una complicata superficie piegata. Le sue nuove sculture sono superficie he nascondono massa e compattezza.
Laccando le sue sculture le rende ancora più chiare: lo st rato superficiale è senza dubbio evidente, ma si può vedere legno laccato? Gesso laccato? Metallo laccato?

Inoltre con la massa nascosta viene anche eliminata l’impressione della consistenza, di equilibrati trasferimenti di pesi.
Le linee verticali delle sculture sono ”morte” – del tutto neutrali nella loro precisione meccanica; soltanto un prodotto collaterale del processo di tornitura. Le sculture, in altre parole, non diventano, né leggere né pesanti mancano tutte le ”immaginarie” relazioni alla forza di gravità. La fantasia non riesce ad afferrare alcun peso specifico o compattezza.
Ci si trova semplicemente davanti a una ”prominenza” tornita e dipinta.
Improvvisamente però si scopre che il profilo di questa prominenza è il profilo di un volto. Quando ci si rende conto di questo, la si sente come una testa che fulmineamente si giri nella scultura, una specie di brivido futurista …

Le sculture hanno in oltre un contenuto figurativo – il profilo proprio di Sivert Lindblom, copiato da una fotografia, torna in tutti gli oggetti esposti. Si tratta di una pittura invertita – poiché se un dipinto è una superficie piana che riproduce superfici piegate in uno spazio immaginario, qui si t ratta di una superficie piegata che riproduce un profilo o una proiezione. Si potrebbe anche dire cosi: quando la fantasia sezionò le sue sculture più vecchie, incontrò una materia, una massa di una certa consistenza. Ora, invece, incontra la proiezione di un volto, una forma. Solo in pochi, alcuni casi Sivert Lindblom ha effettuato una simile sezione nella ”realtà”, nella scultura stessa. Nella maggior parte dei casi, l ’osservatore stesso può ”per ispirazione” dividere in due la scultura per trovarne l ’ immagine, il ’contorno.

Si vuole dire che la scultura è un’arte piò realistica della pittura, poiché contiene la terza dimensione della realtà – che sfugge alla pittura. L’affermazione mi è sempre sembrata dubbiosa – andava forse bene per Mme Tussaud; essa metteva in guardia contro l’irreale, contro l’illusione. Nel caso di Sivert Lindblom il discorso sullo stato ” realistico” della scultura diventa un nonsenso.
Nelle sue sculture non solo la terza dimensione dell’oggetto immaginato diventa immaginaria.
Anche le due rimanenti — le piane diventano immaginarie. Nei suoi lavori più interessanti e finiti si nasconde il profilo completa della superfice obliqua che rivela la scultura.

La forma reale visibile e quella intesa, ”cerebrale”, sono quanto di più diverso si possa pensare.
E se ho ben capito i l suo lavoro, è appunto questa diversità che egli vuole raggiungere.
Il profilo — autoritratto — non è per se stesso di un qualche maggiore interesse; egli poteva ugualmente aver preso il profilo di Cesare — o di una bottiglia, o di una Chevrolet. (Che egli abbia preso il proprio profilo può essere dipeso dal fatto che la buona conoscenza di questo gli ha reso più facile controllare che la forma fosse uguale.) L’intera esposizione tratta della differenza tra il visto e l’intuizione, tra l ’ impressione della mente e l’immaginazione — egli ha riempito il locale di un misterioso vuoto psichico, dal quale balena ogni pensiero.

Le bianche simmetrie senza peso dei suoi lavori hanno qualcosa della inafferrabilità dei ricordi, quasi completamente sbiaditi dall’oblio – ma rimane un avanzo del modello della memoria e improvvisamente la struttura del riconoscimento diventa chiara come cristalli di gelo su di un vetro appannato. La forma, l’impressione mnemonica, viene come dal niente. Non è soltanto la superficie piegata che riceve profondità, ma anche il ”presente” dove si sta e si vede.
”Forma” diventa memoria — nessuna misura da prendersi su un volume che si presenta in un certo modo. Una scultura diventa cosa immaginaria.
Di nuovo.

Ulf Linde
Dagens Nyheter, 23.12. 1966